41 minuti

41 minuti

Come corrono i minuti.

Ki Yang pensò, seduto appoggiato con i gomiti sulle ginocchia e lo sguardo un po’ in su verso un orologio a lancette attaccato al muro. Pensò che li vedi, i minuti, scorrere solo se guardi un orologio che in fondo altro non è che un grafico, un tentativo estremo tutto umano di rendere semplice un concetto, l’infinito. Sorrise un poco tra se e se. Quel sorriso che sghemba appena un po’ l’asse della bocca socchiusa; un leggero movimento accompagnato da un sospiro che esce piano dal naso. Quello che fanno spesso i nonni al parco quando vedono colpire per la prima volta una palla dal proprio nipotino.

Sono così piccoli, appunto minuti, che ti sfuggono di mano. Ti scivolano inarrestabili tra le dita. Scivolano senza sosta attraverso il nostro tentativo di sezionare tutto in piccoli pezzetti. Quella maledetta caratteristica del tutto occidentale di clusterizzare ogni singola cosa. Sminuzziamo ogni cosa: la lista dei costi e dei ricavi, la nostra agenda in ordine alfabetico, le persone in alte e basse, magre e obese, intelligenti e stupide addirittura continuiamo a dividere tra maschi e femmine, diamo un nome ad ogni cosa, persino alle emozioni per tentare di fissarle.

E non ci accontentiamo, quindi, delle affascinanti dicotomie, alcune tanto care che ci consentono anche di dormire serenamente, tipo “quello è uno stronzo” e ci rispondiamo pure nella mente “si, è lui che è uno stronzo, tu no, tu vai bene, rilassati, dormi”, dividiamo, tanto che ‘il definire’ crea automaticamente il suo contrario, uno schieramento che ci appare quasi naturale: lui lo stronzo e tac automaticamente io il ‘non stronzo’ e giù a dormire quasi sereno. ‘Quasi’ perché poi in fondo lo sappiamo che un po’ stronzi lo siamo tutti, o lo siamo stati, anche se ci promettiamo di non farlo più, e spesso ci riusciamo, anche se abbiamo successo nel perdonarci perché davvero non lo abbiamo fatto consapevolmente… quelle volte li in cui vibriamo nelle aree multidimensionali del nostro essere giusti – giusti con noi stessi.

Non ci accontentiamo delle dicotomie, ma facciamo grafici, liste, cassetti, numeri, tutto tagliente… o sei lì o di la in un’apoteosi frattale e rassicurante di strapotere logico.

Si tentiamo, lo facciamo seriamente pure. I computer ci aiutano in questo. ‘Spacchiamo’ i minuti in secondi e poi ‘spacchiamo’ anche quelli. Tritiamo tutto ad un livello di dettaglio tale che alla fine, forse, quelli più ‘sistemici’ di noi si fermano. Spesso hanno preso una botta tale dalla logica che si svegliano. Davanti alla follia entropica di questa logica illuministica e scientifica s’impuntano come dei somari, alzano lo sguardo un po’, spesso ad occhi chiusi, gli occhi li vedi muoversi verso l’alto impercettibilmente dentro le palpebre socchiuse, come per leggervi qualcosa al loro interno.

Li, quei pochi, ‘leggono’. Scorrono le istruzioni non scritte del fluire della vita. Si del fluire. Si accorgono che c’è chi prova addirittura a spaccare i minuti e a ‘non’ sentirli scivolare inutili tra le dita della vita.

Sentono che noi vibriamo tra infiniti cluster tutti finti e creati dallo strenuo tentativo di assomigliare ad un Dio che sentenzia: “Questo è giusto e quello è sbagliato; questo è lilla e quello viola chiaro”. Appariamo, invece, a volte così ed altre in un altro modo, scivolando noi in modo ‘analogico’ e non digitale tra una caratteristica apprezzabile dagli altri ad un altra. Forse la teoria dei frattali ha colto di più nel segno, nel disegno.

Questi lettori di istruzioni impresse dentro ognuno di noi, lì fermi e con loro fermo anche il finto concetto di tempo, ad un tratto colgono, sentono, vibrano per un po’ (non si può proprio dire che ‘comprendono’ o che ‘capiscono’) vedono.

Un leggero sorriso si imprime sul loro viso nell’assaporare che la divisione in parti prevede una fine ed un inizio. Che se vuoi conoscere a fondo una persona non puoi vivisezionarla in pezzettini sempre più piccoli con una lama ‘logica’ e non puoi farlo a maggior ‘ragione’ con le tue emozioni. Stai lì e vibri con l’universo e nell’universo e ‘dell’universo’ consapevole di dover scegliere ad ogni minuto tra il ‘tutto finisce o tutto fluisce’. Oppure “anche no”.

Quei 41 minuti gli erano stati ……

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