Ho cucinato oggi.
Mi piace farlo ogni tanto, ma sempre, come mi accade per tutto il resto, ci vuole una ragione. Seppure la ragione è a volte l’assenza totale di una ragione. Ok confesso, per me cucinare, come penso tutto dovrebbe essere nella vita è un momento d’arte. E quindi se mi metto a cucinare devo sentire la razionalità che mi abbandona e il demone dell’arte che si impossessa di me.
Tutto inizia con un bicchiere di vino, il migliore che sia a portata di mano. Il vino apre la porta oppure distrugge i muri, scegliete voi l’allegoria che più vi piace. Qualunque partito scegliate, dopo il primo bicchiere di vino io metto il primo piede nella prateria, lì dove c’è l’arte, la mia arte e di chi altro sennò?
La vedo come una distesa a perdita d’occhio. Sono io e tutte le possibilità possibili. Lascia stare che per entrare in quel l’ordine delle cose ci vuole un ingrediente fondamentale: stavolta, ho pensato, che sia il tonno.
Dilaniare e masticare un pezzo di pesce di un kilo che fino a pochi giorni fa guizzava in mare aperto è tutto meno che piacevole. Potrebbe al più darti la sensazione di animalità che c’è in te. Ma questa è solo una delle vibrazione dell’arte ed in particolare della cucina, quindi comincio a cercare un modo per cucinarlo.
Mi piace iniziare un po’ d’istinto. Parto dal tonno, in questo caso. Prendo in mano il pezzo da un kilo e lo guardo. Se tutto va nel verso giusto mi disinteresso del tempo, sono in “flow” e quindi potenzialmente felice. Siamo io ed il tonno. Penso che ho per le mani un cacciatore che ha nuotato in mari dove io non potrò mai e che ha cacciato prede che io non prederò mai. E le so che devo santificarlo perché è morto, ma ancora ha da esprimere della vita e dipende da me ora, assurdamente.
Allora per rispetto a lui ne studio le venature, rispetto il muscolo che ha scattato e che ha preso le forme della forza che sferzato e solcano le onde e nel tagliare non posso che seguire quelle linee e le intuisco perché così il coltello passa facile e non divide ciò che deve restare vicino.
La prateria ed il tonno ed io che mi sento scemo: prateria e tonno non ci stanno troppo bene insieme, ma mi sbaglio. Santificherò il tonno con un grande classico della prateria ed uno della terra: spaghetti e pomodorini. Ecco questi sono i co-ingredienti.
Mi diverto a dipingere ogni tanto e lo faccio più per godermi i pittori seri, quelli che non scendono a compromessi e si esprimono fino in fondo. Dipingere mi fa cogliere meglio quanto risulti facile a loro il difficile: non tradire un’immagine perfetta della mente tramite la traduzione sulla tela.
I pomodorini e gli spaghetti sono elementi essenziali come lo sono i colori fondamentali scelti ad arte dal pittore per la sua opera: ne determinano la spina dorsale emozionale. Se fosse un quadro gli spaghetti sarebbero la tela, il supporto; i pomodori sarebbero il colore di accompagnamento ed i puntini che distraggono l’occhio e danno verosimiglianza all’immagine. Va scelto bene anche quello come la granatura della tela: la mano di allunga e prende mezzo kilo di pasta artigianale che per dare il meglio di se ti chiede di essere bollita per 8/10 minuti: lo stesso tempo che come minimo devi dedicare ad un brano classico per concedergli una possibilità di rapirti.
Ed ecco che l’artista aspetta il baratro. Sia dietro di te, non puoi fermarti, che davanti, devi saltarlo: alternativa il fallimento.
Il raziocinio non può fare di più. I colori essenziali e le forme giuste sono in campo: tonno, spaghetti, pomodorini. Basta. Ora sei nella prateria da solo e l’arte che ti preme da dietro e il vuoto di ciò che sarà che ti attrae in avanti. Siete tu e lei come in un duello.
Pentole, padelle e strumenti vari sono solo il prolungamento delle tue membra come lo sono i pennelli: utili, ma potresti dipingere anche a mani nude ed avvolte cucini così in punta di dita.
Aspetti l’idea ma la trovi già li. Spalanchi tutti gli scaffali e come se lo avessi già fatto, come se fossi seduto sul divano a guardare un grande classico della cinematografia ti fermi a guardarti prendere il pepe, il sale, l’aceto balsamico, i crostini da sbriciolare e i semini da tostare. Vedi le tue mani, e si ormai sei al terzo bicchiere di vino, allungarsi e mescolare mentre metà del bicchiere che hai saldo in pugno scivola nella padella a soffriggete la cipolla e l’aglio.
Beethoven lo senti ora, tutti gli strumenti si uniscono insieme a fare una vibrazione unica all’idea che ora inizia ad aderire, nell’odore, a ciò che avevi immaginato e ti viene paura.
La paura di distruggere qualcosa che hai fatto ma che non ti appartiene già più.
Qui capisco, come ogni volta, perché cucino poco. Perché non è da me distruggere la mia arte, io sono una che la conserva, mentre la cucina mi affascina proprio perché crea e distrugge ed il tutto nel tempo che occorre a 22 calciatori per capire che è stata solo una partita, ma che assomiglia comunque così tanto alla vita da commuoverti.
Si mangia e si ricevono complimenti che sono comunque piacevoli ed il tutto annaffiato da del buon vino che oggi non ha rubato il ruolo di protagonista al tonno. Lo ha invece accompagnato da gregario e molto bene intervallando ed amplificando il gusto del boccone seguente.
Lasciate stare che l’antipasto è stato servito direttamente dalla padella con gli “scarti” del tonno appena scottati e che avevo lasciato indietro tre cubi di muscoli marino da servire come secondo e che ho cotti a “scottadito” con olio e sale e pepe con il rispetto e la tecnica richiesta alla “fiorentina”: questa è solo cronaca. Se una cosa ti piace, e ne hai la possibilità, aiutati a dividerti da lei lentamente con un boccone extra di felicità.
Dopo torna la realtà. Ora le mani puzzano di pesce e tenti di coprirne l’odore con innumerevoli sostanze, ma il tanfo di pesce non se ne va, va al più coperto. Proprio come questo pensiero che penso qui adesso e quello che stai pensando tu ora, si ora; entrambi non se ne potranno andare da questo universo che tutto conteneva prima di me, che tutto contiene (anche me) e che tutto comprenderà anche dopo di me e te.
In fondo mi piace, raramente, cucinare.
Quando poi tutto finisce che ci scrivo pure qualcosa sulla mia arte di cogliere il momento, quello in cui prendo, con religioso rispetto, tra le mani un pezzo di universo, allora non mi resta che essere felice.